Un reato che la dottrina riferisce essere "generazionale" ha trovato una collocazione giuridica molto severa tra le ipotesi aggravate di diffamazione nel terzo comma dell'art. 595 del c.p.. Purtroppo la conoscenza del giurista é sempre molto refrattaria ad indagare le implicazioni di uno sviluppo tecnologico e lascia strada all'insidia di chi tende delle trappole per poi chi citare per danni gli utenti che disinvoltamente hanno espresso delle valutazioni sul più famoso network internazionale, col solo scopo di trovarne una fonte diversa di reddito da quello dell'onesto lavoro e con fare predatorio sistema le proprie trappole sui social network. Nell'attesa che il riallineamento della giurisprudenza con la dottrina porti ad una soluzione, condivisa tra i giuristi, quantomeno sul punto della discutibile gravità, la pugna nelle aule dei Tribunali di merito non si placa, perché é sempre difficile capire le implicazioni tecniche del mezzo usato. Spesso ai magistrati viene sconsigliato l'uso dei social per proteggere la propria serenità valutativa e la loro privacy. Ecco un caso che coinvolge noi tutti utenti di Facebook ma che fa anche riflettere sul atteggiamento curiale di parte della giustizia di merito che molto spesso poco avvezza a sporcarsi le mani indagando sul campo l'umana fallibilità.
Signor Presidente,
Il signor X deve rispondere del delitto di cui all’art. 595 co. 3 c.p. secondo cui “Chiunque, comunicando con più persone, offende l'altrui reputazione, è punito Se l'offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a cinquecentosedici euro”.
I) una prima questione non attiene tanto ad un’interpretazione giurisprudenziale o dottrinale, ma é piuttosto una valutazione di tipo sociologico, che meriterebbe di essere approfondita in quella sede, ma di cui è bene avere contezza anche in campo giuridico.
Quale é la vera portata delle frasi pubblicate su Facebook. Tale analisi può dunque definirsi una “questione generazionale”, in quanto – con l’evolversi dei tempi – sembra essere cambiata anche la concezione del problema.
Problema questo, rappresentato dal mezzo di divulgazione utilizzato... perché, secondo la Legge, l’utilizzo del “social network” rappresenta un’ipotesi aggravata di diffamazione, ma ciò che talvolta l’interpretazione giurisprudenziale sembra non considerare è l’opinione che ne ha il pubblico (fruitore) del social network Facebook.
La maggior parte dalla popolazione mondiale, infatti, utilizza questa bacheca e molto spesso ricorre ad espressioni colorite e provocatorie, ma senza una reale comprensione di ciò che sta facendo: Facebook è in grado di ridurre i freni inibitori di coloro che lo utilizzano e fa sì che si esprimano concetti che non verrebbero utilizzati nella vita quotidiana, spesso al fine di provocare consensi o ilarità negli altri lettori. In questo senso rileviamo a solo titolo di esempio quanto prodotto al doc. 6 dell’Opposizione al decreto penale dove l’Y a corollario della propria attività informativa e meno, sulla propria pagina di Facebook, dichiara: “Pagina Personale, nella quale parlo di quello che mi viene in mente”.
Ecco che l’abbandono alla pubblica lettura dei propri pensieri e tutto ciò che capita per la mente é circostanza accettata e voluta dall’odierna parte offesa, diremmo uno sfogo alla propriia libertà creativa editoriale.
Ad un esperto di neuroscienze disciplina che negli ultimi tempi permea il nostro diritto penale, perché é di procedimenti formativi della volontà, di cui parliamo, la traduzione potrebbe essere: per assicurarmi un consenso euforico di likes, rinuncio alla mediazione del mio emisfero frontale e do libero sfogo alla parte emozionale della mygdala e dell’ipotalamo del mio cervello, notoriamente parti che agiscono senza censure e sulla base di dati emozionali.
Ciò porta innanzitutto a domandarsi se siano davvero gravi, le affermazioni pubblicate, tant’è che, ad avviso di questa difesa, si potrebbe già ipotizzare per conto, questa volta dell’imputato, ma genericamente, un’attenuazione potenziale dell’elemento soggettivo, in quanto l’utente di Facebook, molto spesso, non si rende pienamente conto della portata delle proprie affermazioni, proprio a causa di questo meccanismo “psicologico”, che porta a dare minor peso a ciò che viene pubblicato con la mediazione di questi “strumenti”.
I) Detto ciò, ecco il primo paradosso: Come può un simile strumento, che per sua natura attenua l’incidenza dei propri contenuti, essere considerato un’ipotesi più grave, di diffamazione ed essere oggetto del disposto di cui al comma terzo dell’articolo 595 c.p.?
Questo interrogativo aumenta le perplessità qualora venga in gioco l’esimente del diritto di critica politica, insito nel combinato disposto degli artt.51 c.p. ed art. 21 Costituzione, spesso affiancati al delitto di diffamazione, Proprio la Cassazione, infatti, afferma che, “quanto al contenuto delle espressioni usate, tale esimente presuppone un affievolimento del requisito della veridicità della notizia, essendo la critica espressione di opinione meramente soggettiva, che ha per sua natura carattere congetturale e che non può pretendersi rigorosamente obiettiva ed asettica”. (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 49570 del 23.9.2014)
II) Il secondo paradosso. L’assenza dell’offeso.
Il secondo paradosso è invece incentrato su un aspetto giuridico che nasce dalla deduzione derivata dall’art. 595 c.p.. Si tratta del primo dei tre requisiti indicati al paragrafo 3, tutti requisiti necessari affinché possa applicarsi la disposizione di cui all’595 c.p., ovvero l’assenza dell’offeso.
Questo requisito basa, la propria ragione, a tutela della quale l’ordinamento garantisce la vittima, sull’impossibilità di difendersi della stessa, la quale, non essendo presente non può controbattere alle frasi ingiuriose. Abbiamo sentito in quest’aula, all’udienza del 4 ottobre dello scorso anno, la parte offesa riferire che, nonostante avesse letto le dichiarazioni del X dal medesimo thread, thread nel senso di discussione aperta, thread che riguardava appunto un comunicato stampa a risposta del proprio articolo pubblicato su Milano Notizie al quale poteva rispondere, lo stesso Y, ha invece pensato di rivolgersi al proprio avvocato, ma era sostanzialmente presente, monitorante ed evidentemente, lettore attento delle opinioni scaturite nel comunicato stampa in risposta dl proprio articolo pubblicato su Milano Notizie.
Perché abbiamo parlato di ciò, perché la Cassazione (sez. V, sent. n. 26410 del 30.4.2014 ) sul punto dell’esimente del diritto di critica – afferma che sussiste l’esimente qualora la critica venga formulata alla presenza del criticato o, comunque, di coloro che possono validamente contrastarlo, nella specie un thread di personaggio pubblico che riferiva dell’attentato del febbraio 2017, in questo caso, la tutela dell’onore avrebbe potuto essere efficacemente assicurata dalla reazione difensiva del criticato.
III) In base a questi approfondimenti sorge allora un dubbio: nel caso di diffamazione tramite Facebook si può davvero parlare di assenza della persona offesa? (1)
Certo rileva la presenza in tutte queste esternazioni dell’Y e l’uso spasmodico di hashtags non esclude l’utente dal vigilare e monitorare sugli effetti delle proprie declamazioni e non si può negare, come nel caso di questo processo, che di effetti ve ne siano stati, giacché la parte offesa, invece di usare i toni graffianti solitamente usati, ha ritenuto di cambiare strategia e con un sibillino quanto subdolo post riferisce al doc. 8 prodotto nell’opposizione: “Finalmente qualcuno inizia a querelare: é l’unico modo per far tornare i social un posto frequentabile”. Il qualcuno in terza persona da De bello gallico è, evidentemente, riferito a se stesso.
Le ragioni che ci portano ad avere delle perplessità in ordine al verificarsi del reato circa l’assenza dell’assenza dell’offeso anche per la condotta con la quale lo stesso invade la rete sono lampanti, Facebook si caratterizza ed ha come ragion d’essere proprio la possibilità, se voluto, a chiunque di esprimere la propria opinione e di farla conoscere e controbattere da quella degli altri.
Continuando su questa linea di pensiero, la conseguenza naturale è che un’offesa arrecata ad una persona, non può essere considerata diffamazione, qualora l’interessato abbia preso parte alla discussione. Allo stesso tempo, viene a mancare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato di diffamazione anche nel caso in cui la persona non sia immediatamente presente per controbattere, in quanto, come emerso anche dalla sentenza della Cassazione poc’anzi richiamata, l’esimente del diritto di critica si applica anche nel caso in cui siano soggetti terzi a controbattere alle affermazioni dell’offensore.
Orbene, in base all’analisi di dottrina e giurisprudenza sul punto, si potrebbe affermare (Cass. Pen., sez. V, sent. n. 26410 del 30.4.2014 – dep. il 18.6.2014) che i casi di punibilità di diffamazione su Facebook siano molto più ridotti rispetto a quanto si possa pensare, poiché, dato il requisito dell’assenza, tali frasi dovranno essere estemporanee, cioè pronunciate al di fuori di una discussione, decontestualizzate, alla quale possa prendere parte la persona offesa o soggetti terzi in grado di difenderne l’onore e così é, perché continuano ad essere diffamatorie frasi pronunciate sul proprio profilo privato o all’interno di commenti che non hanno nulla a che vedere con il post di riferimento ad esclusivo uso dei partecipanti alla discussione.
Viceversa, qualora sia in corso una discussione vera e propria aperta, che trae origine da un post nato non con l’intento di denigrare, ma per aprire una discussione sui fatti accaduti e sul commento degli stessi descritti in un comunicato stampa come quello di Z che poi altro non é che il personaggio politico pubblico che ha dato origine - lo ricordo- alla discussione o thread per commentare una notizia data dall’Y sulla stampa locale, non si può parlare di vera e propria diffamazione, difettando del requisito in questione oggettivo per la presenza elettronica digitale dell’imputato ma anche l’assenza di una decontestualizzazione del tema.
Si può dunque constatare che le modalità con cui frequentemente avvengono le offese come questa sul social network difettino di un requisito essenziale della diffamazione, mentre integrano tutti gli elementi dell’ingiuria, aggravata dalla comunicazione con più persone.
Bene, una riprova di quanto affermato, se l’oggetto di questo processo è la diffamazione tramite Facebook, che dire allora di quegli altri “social”, che consentono una comunicazione con più persone ma che senza avere la possibilità di taggare gli utenti, cercano di alimentare una discussione, di incontro di opinioni diverse alle quali gli interessati possano prendere parte.
Solo per fare un esempio, si pensi alle recensioni pubblicate su bacheche come può essere Tripadvisor, dove qualunque
avventore di un locale è libero di scrivere un commento.
In un simile caso, non di rado, vengono pubblicati “post” offensivi della reputazione del locale stesso, ma, così come avviene nel caso di Facebook ma senza l’uso di “cancelletti”, il titolare del
locale denigrato, informato dal sistema, potrà prenderne visione immediatamente ma viene anche invitato a controbattere a tali affermazioni, nel tentativo ripristinare un clima di dialogo, di
maturazione della coscienza e conoscenza collettiva anziché passare per le vie legali. A questo punto se é così importante creare un dialogo beh, questo dialogo non é mai abbandonato, come abbiamo
sentito lo stesso X per chiarire che non si trattava di fatto personale prima si reca dalla parte offesa e poi scrive all’Y una lettera spiegando l’equivoco.
Che dire poi del diritto di replica utilizzato per smentire quanto pubblicato da un giornale per far venire meno una potenziale incriminazione del reato di diffamazione della fattispecie più classica e più grave.
Con riferimento invece al tono utilizzato, inoltre, si osserva come il requisito della continenza debba essere valutato con minor rigore nel caso di preteso esercizio del diritto di critica; aggiunge la Cassazione: “il diritto di critica si concretizza in un giudizio valutativo che postula l’esistenza del fatto assunto ad oggetto o spunto del discorso critico ed una forma espositiva, e, conseguentemente, esclude la punibilità di coloriture ed iperboli, toni aspri o polemici, linguaggio figurato o gergale, purché tali modalità espressive siano proporzionate e funzionali all’opinione o alla protesta”.
Secondo varie pronunce della Corte Suprema, dunque, il diritto di critica postula un ulteriore affievolimento dell’incidenza delle frasi diffamanti, con la conseguenza che, qualora ricorrano i presupposti per potersi valutare la sussistenza del diritto di critica e le frasi siano state pronunciate sul social network, sembrerebbe che la loro gravità possa ritenersi veramente limitata. L'offensività della condotta rispetto al bene giuridico tutelato deve essere valutata nel contesto nel quale le espressioni vengono pronunciate e le affermazioni spesso sono ampiamente coperte dall'esimente del diritto di critica. In questo, anche la copiosa documentazione prodotta sull’onda del “parlo di quello che mi viene in mente” parafrasando l’intitolazione che la parte offesa fa della propria pagina Facebook, e l’abbiamo anche sentito dallo stesso Y conferma la paternità e l’uso di un lessico fatto di frasi ingiuriose e risulta dai documenti di cui abbiamo chiesto l’acquisizione che la fraseologia, dell’odierna parte offesa non riesce a contenersi nei toni urbani, che avrebbe voluto fossero stati usati nei suoi confronti.
Tutto ciò ci porta ad analizzare quelle che sono le esimenti e scriminanti delle quali si deve tener conto nel caso concreto che sono L’Art. 599 del Codice Penale. Non è punibile chi ha commesso alcuno dei fatti preveduti dall'articolo 595 nello stato d'ira determinato da un fatto ingiusto altrui, e subito dopo di esso. La Provocazione.
Anche in questo caso la giustificazione della provocazione nei delitti contro l’onore tramite il social, passa attraverso la valutazione delle dinamiche temporali, molteplici tribunali ordinari hanno ritenuto che il requisito dell’immediatezza non deve intendersi come reazione attuata nello stesso momento dell’offesa ma può consistere in una reazione successiva purché dipenda sempre dalla natura della ritorsione all’offesa.
E questa volta é, la parte offesa con una produzione di post sagaci pungenti, come si diceva una volta, al “fulmicotone” che configurano a loro volta l’offesa rivolta all’onore a più persone in forma collettiva, mi riferisco, ad esempio, ai commenti nel post del 27 aprile, 2017 con fotografia di persone di spalle, rammostrata alla scorsa udienza, in cui l’imputato tra questi si riconosce, affiancati al commento della parte offesa che allega la famosa fotografia della fucilazione alle spalle di Galeazzo Ciano come a qualificare gli stessi come vigliacchi e traditori, che dallo stesso, poi, viene così spiegata, in un altro post del 5 febbraio 2018, dal titolo #NAZISCEMI. In questo messaggio l'Y dispensa valutazioni, su quelli che definisce i pagliacci di #casapound, ma non s’avvede del paradosso mediatico informatico riscontrabile nel documento n° 1, pag. 2 che produce come allegato alla denuncia nel fascicolo della pubblica accusa, cioè di quella copia dal web del famoso articolo di Milano notizie del 4 settembre che di spalla appare la notizia che i pagliacci forse a scopo di consenso ma certamente visto il successo dell’iniziativa per un’esigenza sociale: "Casapound: Continua la Raccolta Alimentare per le famiglie italiane in difficoltà".
Ma la particolarità di questo documento é che mentre quelli che definisce “fascisti da tastiera”si danno da fare, egli da gran cassa all’articolo della sua intervista, condividendolo sulla sua pagina Facebook e lo “tagga”, dettaglio importante e che esclude il reato di cui al 595 3° comma del c.p., con gli #hastag Franco Rebuglio, #bomba carta, #Milano, #Hotel Belsito, #Y, #partito. #Sindaco. Sicché in questo modo si assicura la possibilità di seguire, come ha seguito, di leggere come ha letto e di intervenire su qualsiasi notizia, su post o commenti che comprendevano le parole taggate nei commenti di altri lettori, commenti forse ingiuriosi, ma data la presenza, predatoria alla luce dei fatti del divulgatore, certamente non diffamatori.
Tutte queste, sono solo alcune delle vicende alle cui provocazioni, il X ritiene di non intervenire, ma neppure di denunciare, rimane alla finestra a vedere fino a che punto la fantasia creativa dell’odierna parte offesa si può spingere.
E allora argomentando a contrario, sembra provocatoria me non lo é, ma quella fotografia scattata con delle persone di spalle a rendere ossequio ad una lapide infissa su di un muro, esistendo, per come é stata commentata ed associata alla fucilazione da traditore di Galeazzo Ciano, un determinatezza dei soggetti passivi tra cui l’imputato, si ritiene possa configurare una lesione all’onore di persone rientranti nelle categorie collettive sempre che di queste sussistano alcuni caratteri, quali, ad esempio, la ristretta dimensione quantitativa del gruppo, si dovrebbe procedere contro la parte offesa per il medesimo reato.
La Suprema Corte ha fatto presente che nel caso di offesa all’onore delle persone giuridiche e degli enti collettivi non è preclusa la configurabilità di una concorrente offesa all'onore o alla reputazione delle singole persone che dell'ente fanno parte a condizione che l'offesa non si esaurisca in valutazioni denigratorie che riflettano esclusivamente l'ente in quanto tale, ma investano, o attraverso riferimenti espliciti, o mediante un indiscriminato coinvolgimento nella riferibilità dell'accusa, i singoli componenti, così danneggiati nella loro onorabilità individuale (Cass. Pen Sez. V sent. n.3756/87 dep. 22/03/1988).
Da ciò ben si comprende come l’ulteriore vicenda legata alla strumentalizzazione della bomba a Milano per mera propaganda politica, rappresenta per il X, che l’ha vissuta in prima persona, la goccia che fa traboccare il vaso contrastando quella interpretazione di chi non era sul posto, né ha vissuto i momenti di angoscia del fatto.
Allora mi sono chiesto fino che punto può spingersi la critica politica aldilà degli aspetti oggettivi della presenza dell’offeso tecnicamente attivata con l’ausilio della condivisione a tutti della pagina con gli hastags, rimanendo, la critica politica, comunque al di fuori dell'area del penalmente rilevante.
Due linee di indirizzo vengono delineate da due distinte pronunce:
Corte di cassazione 19 dicembre 2013 n. 51439.
In tale pronuncia, infatti, si è chiarito che la critica può essere considerata un'esimente del reato di diffamazione, nel caso di specie a mezzo stampa, solo laddove risponda a determinati requisiti ed è fondamentale, per evitare che la critica si trasformi in reato, che questa si fondi comunque su fatti veri. Ed in questo caso, vero è che l’attentato non é stato compiuto da gruppi politici di destra neppure che il governo della città funga da una sorta di brodo di coltura di tali tensioni, come risulta invece dalle prospettazione dell’Y nell’articolo di Milano News del 4 settembre 2017. E le critiche che l’imputato nei toni che l’Y é solito usare rivolge quando interviene nella discussione vanno nella direzione di chi disconosce la prospettazione dell’assurdo teorema della parte offesa, perché come aggiunge la Cassazione: “eventuali interpretazioni soggettive dei comportamenti di una data persona non possono, in ogni caso, prendere spunto da una prospettazione dei fatti opposta alla verità”.
Nello stesso senso la Corte di cassazione la n. 1914/2010, chiariva, dando l’impostazione diventata oggi tradizionale, secondo la quale, al di là delle asperità dei linguaggi, il giudice, per accertare la sussistenza della scriminante dell'esercizio di critica politica, deve considerare innanzitutto l'opinabilità degli argomenti che la sostengono.
L'orientamento è sempre lo stesso: è causa di giustificazione solo la critica che rispecchia la verità dei fatti. Non è invece idonea a scriminare un comportamento diffamatorio solo la critica che fa riferimento a circostanze non vere o, comunque, non accertate: in tal caso, infatti, essa diverrebbe solo un pretesto per offendere la reputazione altrui.
Si insiste pertanto nell’assoluzione dell’imputato tenuto conto anche che una sentenza di condanna per una fattispecie come quella di cui trattiamo, rischierebbe di avvallare un comportamento predatorio di chi usando un linguaggio estremo con l’aiuto strumentale degli hashtags per monitorare le reazioni degli altri utenti, pensi di far cassa sui risarcimenti dei danni in coda ai vari procedimenti che é riuscito a innescare come trappole nella foresta della rete
CONCLUSIONI
Voglia l’Ill.mo Tribunale di Milano, ai sensi dell’art. 530 comma 1, del c.p.p. dichiarare l’assoluzione di X F. dal reato ascritto per non aver commesso il fatto;
In subordine, verificata l’infondatezza delle accuse rivolte ai sensi dell’art. 595, comma 1, del codice penale in assenza dell’elemento oggettivo, assolvere l’imputato perché il fatto non costituisce reato.
In estremo subordine dichiarare l’assoluzione dell’imputato ai sensi e per gli effetti dell’art. 530 comma 3° e 599 del codice penale e del combinato disposto degli artt. 51 c.p. con l’art. 21 della Costituzione;
Comunque, nella denegata ipotesi di mancato accoglimento delle domande di cui sopra, accertate la prevalenza delle cause attenuanti di cui all’art. 62 c.p., e per conseguenza dichiarare la tenuità dei fatti descritti e contestati ed assolvere conseguentemente F.X dal reato ascritto dichiarandone l’esclusione della punibilità ai sensi dell’art. 131 bis del codice penale.
1) Per la disamina della nuova impostazione dottrinale sul reato di di diffamazione é stato citato e ripreso l’articolo di Erik Gianchello - La diffamazione su Facebook un reato generazionale ed un dilemma interpretativo, Che ringrazio. www.giurisprudenzapenale.com
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